Per INCONTINENZA FECALE si intende la perdita involontaria di gas o peggio materiale fecale o l'incapacità di ritardare l'evacuazione fino al momento o alla sede più idonea. Non va considerata di per sé come una "patologia" bensì come un "sintomo" in quanto un certo grado di incontinenza può essere fisiologicamente presente nel bambino, nell'anziano o anche nell'adulto in particolari e temporanee condizioni che modificano la velocità di transito o la consistenza delle feci (diarrea). L'incontinenza fecale, soprattutto quando presente nell'adulto, incide pesantemente sulla qualità di vita del paziente con pesanti ripercussioni sulla qualità di vita.
Alla base dell'incontinenza fecale vi possono essere varie cause come:
Da un punto di vista sintomatico possiamo avere un quadro eterogeneo di situazioni "sgradevoli" che vanno dalla urgenza evacuativa, generalmente legata ad una ridotta capacità dell'ampolla rettale e/o ad una lesione del muscolo sfintere esterno (volontario) ad una incontinenza permanente in cui si riconoscono maggiormente lesioni dello sfintere interno (involontario).
Esistono vari sistemi per la valutazione del grado di incontinenza che tengono conto sia del tipo di "perdita" lamentata dal paziente (feci solide, liquide o gas) sia della frequenza con cui il sintomo si verifica.
Hai avuto un episodio di incontinenza e vuoi sapere se devi eseguire una visita specifica.
Diagnosi
Gli esami utili alla diagnosi e alla caratterizzazione dell'incontinenza fecale sono:
Elettromiografia Rettale
Ecografia Transanale
RM pelvica
Defecografia (meglio se con RM)
Terapia
La terapia dell'incontinenza fecale è rivolta a correggere le alterazioni anatomico-funzionali che sono alla base della patologia. Esistono diverse metodiche di trattamento dell'incontinenza fecale che vanno valutate caso per caso utilizzando quella o più spesso quelle più idonee alla specifica situazione. Queste sono:
Questa metodica è rivolta al miglioramento del tono e della resistenza dei muscoli della continenza oltre che del miglioramento della coordinazione di questi muscoli.
Questa tecnica prevede l'aumento dello spessore dello sfintere anale introducendo tra le fibre muscolari delle sostanze o delle protesi. L'aumento dello spessore va a ridurre il calibro del canale anale compensando il deficit di chiusura dei muscoli.
Questa metodica derivata dalla medicina rigenerativa prevede l'infiltrazione del tessuto muscolare sfinterico con un preparato a base di cellule staminali multipotenti derivate dal tessuto grassoso arricchite con fattori di crescita di derivazione piastrinica. Questa procedura relativamente poco invasiva consente di aumentare il volume sfinterico (agendo come bulking agent) ma soprattutto di rigenerare il tessuto muscolare sfinterico.
Questa tecnica prevede l'impianto di una specie di Pace Maker a livello dell'emergenza dei nervi sacrali. Attraverso una continua stimolazione elettrica si ottiene l'aumento del tono sfinterico.
La terapia chirurgica dell'incontinenza fecale è riservata ai casi in cui vi sia la necessità di ricostruire o ricongiungere lo sfintere lesionato (SFINTEROPLASTICA) oppure in singoli casi in cui sia necessario modificare o ripristinare l'anatomia del retto.
La stitichezza o stipsi è un disturbo della defecazione consistente nella difficoltà di svuotare in tutto o in parte l'intestino espellendone le feci.
Studi epidemiologici definiscono come numero minima frequenza, 3 evacuazioni per settimana (il 98° percentile della frequenza dell'alvo statisticamente riportata dalla popolazione adulta) anche se vi sono situazioni in cui una frequenza minore può comunque configurare una condizione di stipsi. è quindi importante differenziare tra una ridotta frequenza fisiologica dalla stitichezza patologica. Quest’ultima condizione si configura quando i soggetti lamentano di non avvertire lo stimolo spontaneo della defecazione o essere costretti a fare grandi sforzi per defecare o evacuare feci dure a varie riprese in modo incompleto. Molto spesso la stitichezza si accompagna a gonfiore o dolori addominali.
E' quindi importante differenziare la ridotta frequenza fisiologica (dovuta ad un transito colico più lento o ad un colon lungo e/o tortuoso) dalla stipsi intesa come condizione patologica.
La stitichezza patologica può essere ricondotta a due principali cause: un rallentato transito colico e/o una difficoltosa espulsione delle feci.
Nel primo caso il problema è a carico del colon e può essere legato ad una alterata produzione o rilascio di Serotonina (neuromediatore deputato al funzionamento della muscolatura colica), alla presenza di anomalie anatomiche a carico del colon (eccessiva lunghezza, tortuosità accentuate, trazionamenti ad opera di aderenze di pregressi interventi, etc.), uso di farmaci o diete particolari.
La difficile evacuazione che prende il nome di SINDROME DA OSTRUITA DEFECAZIONE vede tra le sue principali cause: la presenza di alterazioni anatomiche (prolasso del retto, rettocele, invaginazione rettale, prolasso emorroidario, entero o sigmoidocele, etc.), la presenza di un alterata sensibilità rettale (idiopatica, post-chirurgica, M. di Hirshsprung, etc.) e un alterata attività dei muscoli coinvolti nel meccanismo della defecazione/continenza (dissinergia addomino-pelvica, anismo, esiti di interventi chirurgici o del parto naturale, etc.).
Vista la sua eterogenea patogenesi è fondamentale inquadrare correttamente ciascun paziente andando ad identificare con precisione le alterazioni alla base della condizione di ciascun paziente in modo da poter progettare una terapia "su misura".
Spesso una valutazione superficiale porta ad un lungo calvario fatto di vari tentativi con lassativi o rimedi "fai da te" quando invece una lettura più approfondita può far emergere le reali cause alla base della patologia e consentire di correggerle nel modo più rapido ed efficace.
Terapia
La terapia della stipsi prevede il corretto e completo inquadramento del tipo di cause alla base del disturbo e la loro correzione.
Esistono 3 principali tipologie di lassativi: Osmotici, Formanti Massa ed Irritanti ognuno di questi è rivolto a correggere uno specifico aspetto della cascata di azioni che portano alla evacuazione. Verranno quindi utilizzati in base al tipo di genesi della stipsi tipologie diverse di lassativi.
Questa tecnica prevede la stimolazione del colon attraverso una stimolazione elettrica trans-addominale in modo da rieducare il colon ad una più efficace motilità.
La terapia chirurgica della stipsi è principalmente rivolta alla correzione della SINDROME DA DEFECAZIONE OSTRUITA e si giova di tecniche resettive transanali o sospensive transaddominali. La possibilità di eseguire tutte le tipologie di intervento e poter scegliere quello più efficace caso per caso è fondamentale per ottenere dei risultati soddisfacenti e duraturi.
Resezioni Transanali: queste tecniche prevedono la correzione del prolasso mediante la resezione del tessuto sovrabbondante passando attraverso l'ano. Questi interventi sono di solito non molto dolorosi ed hanno un breve recupero postoperatorio e degenze di 1-2 giorni.
Sospensioni: gli interventi sospensivi sono condotti di solito per via laparoscopica e mirano a risollevare il retto o il pavimento pelvico in modo da distendere il viscere evitandone il ripiegamento o l'invalidazione in modo da facilitarne lo svuotamento.
La stitichezza o stipsi è un disturbo della defecazione consistente nella difficoltà di svuotare in tutto o in parte l'intestino espellendone le feci.
Studi epidemiologici definiscono come numero minima frequenza, 3 evacuazioni per settimana (il 98° percentile della frequenza dell'alvo statisticamente riportata dalla popolazione adulta) anche se vi sono situazioni in cui una frequenza minore può comunque configurare una condizione di stipsi. è quindi importante differenziare tra una ridotta frequenza fisiologica dalla stitichezza patologica. Quest’ultima condizione si configura quando i soggetti lamentano di non avvertire lo stimolo spontaneo della defecazione o essere costretti a fare grandi sforzi per defecare o evacuare feci dure a varie riprese in modo incompleto. Molto spesso la stitichezza si accompagna a gonfiore o dolori addominali.
E' quindi importante differenziare la ridotta frequenza fisiologica (dovuta ad un transito colico più lento o ad un colon lungo e/o tortuoso) dalla stipsi intesa come condizione patologica.
La stitichezza patologica può essere ricondotta a due principali cause: un rallentato transito colico e/o una difficoltosa espulsione delle feci.
Nel primo caso il problema è a carico del colon e può essere legato ad una alterata produzione o rilascio di Serotonina (neuromediatore deputato al funzionamento della muscolatura colica), alla presenza di anomalie anatomiche a carico del colon (eccessiva lunghezza, tortuosità accentuate, trazionamenti ad opera di aderenze di pregressi interventi, etc.), uso di farmaci o diete particolari.
La difficile evacuazione che prende il nome di SINDROME DA OSTRUITA DEFECAZIONE vede tra le sue principali cause: la presenza di alterazioni anatomiche (prolasso del retto, rettocele, invaginazione rettale, prolasso emorroidario, entero o sigmoidocele, etc.), la presenza di un alterata sensibilità rettale (idiopatica, post-chirurgica, M. di Hirshsprung, etc.) e un alterata attività dei muscoli coinvolti nel meccanismo della defecazione/continenza (dissinergia addomino-pelvica, anismo, esiti di interventi chirurgici o del parto naturale, etc.).
Vista la sua eterogenea patogenesi è fondamentale inquadrare correttamente ciascun paziente andando ad identificare con precisione le alterazioni alla base della condizione di ciascun paziente in modo da poter progettare una terapia "su misura".
Spesso una valutazione superficiale porta ad un lungo calvario fatto di vari tentativi con lassativi o rimedi "fai da te" quando invece una lettura più approfondita può far emergere le reali cause alla base della patologia e consentire di correggerle nel modo più rapido ed efficace.
Le emorroidi sono cuscinetti vascolari situati nel canale anale che con la loro presenza contribuiscono al mantenimento della continenza, gonfiandosi e sgonfiandosi a seconda della situazione.
Il tessuto vascolare (“angiocavernoso”) è sostenuto da tralci di tessuto connettivo elastico e muscolare ed è suddiviso in 2 plessi principali: il plesso emorroidario interno (al di sopra della linea dentata) ed il plesso emorroidario esterno (al di sotto della linea dentata).
Le emorroidi sono quindi dei rigonfiamenti venosi presenti all’interno del canale anale di tutte le persone, il termine “emorroidi” viene quindi utilizzato impropriamente per descrivere una circostanza patologica in cui i vasi emorroidali si dilatano eccessivamente formando varici e nei casi più avanzati prolassando verso l’esterno. In questo caso è più corretto parlare di Malattia Emorroidaria.
Oggi le moderne conoscenze ci hanno permesso di identificare alla base della patologia emorroidaria un cedimento delle strutture di sostegno connettivali e muscolari causando dapprima una dilatazione dei plessi venosi e quindi uno scivolamento verso l’esterno della mucosa retto-anale e del tessuto emorroidario (Prolasso Muco-Emorroidario).
Alla base di queste alterazioni vi sono predisposizioni genetiche influenzate dallo stile di vita e da altri fattori contribuenti come l’aumento della pressione all’interno dell’addome (gravidanza, obesità, stipsi, sforzi fisici reiterati) o il trauma dei tessuti legato a stitichezza(con feci dure o voluminose), diarrea cronica (altamente irritante perché "acida"), alimentazione irritante(cioccolata , peperoncino, spezie, superalcolici, vino rosso, birra, menta), assunzione di farmaci ( antibiotici, ormoni, pillola anticoncezionale). Particolari momenti del ciclo mestruale possono facilitare l'insorgenza di crisi emorroidarie (ovulazione, mestruazione).
Le emorroidi costituiscono la patologia anale più frequente, tanto che si stima colpiscano almeno una volta nella vita circa il 90% della popolazione.
Terapia
La terapia della malattia emorroidaria è esclusivamente chirurgica. La terapia medica è rivolta esclusivamente al controllo del quadro sintomatologia.
La terapia dietetico comportamentale deve mirare a modificare le abitudini e lo stile di vita in modo da eliminare i fattori favorenti le crisi emorroidarie e migliorare la sintomatologia.
Modifiche alimentari
Modifiche comportamentali
Terapia medica-lenitiva
La terapia medica in caso di crisi emorroidarie deve essere mirata al trattamento dell’infiammazione (anti-infiammatori specifici), al miglioramento del tono vascolare (flavonoidi, ruscogenine), alla risoluzione degli episodi di sanguinamento (antiemorragici, flavonoidi, ruscogenine), prurito (saponi specifici, creme lenitive) e del dolore (antidolorifici, antiinfiammatori).
Scleroterapia
Indicata nel sanguinamento di mucosa emorroidaria di emorroidi di I grado. Va bene solo per emorroidi non prolassanti. Mediante l’ausilio di un anoscopio si iniettano sostanze ad azione sclerosante che determinano un’infiammazione nella sede dell’iniezione con conseguente fibrosi attorno al peduncolo vascolare che irrobustisce la mucosa e ne permette la sua fissazione alla muscolatura sottostante, riducendo la tendenza al prolasso.
Questa tecnica ha indicazioni limitate e non rappresenta un alternativa alle tecniche chirurgiche tradizionali.
Legatura elastica
Indicata nel sanguinamento di mucosa emorroidaria di emorroidi di I e II grado. Ha lo scopo di ridurre l’apporto vascolare interrompendo i vasi efferenti e di ridurre le dimensioni del gavocciolo creando nel contempo una fibrosi nel punto di legatura che porta a retrarre la mucosa impedendone il prolasso.
E' una metodica semplice, può essere eseguita senza anestesia con l’ausilio di un anoscopio e di un apposito strumento per posizionare un anello elastico a
livello di ogni gavocciolo.
Dopo aver messo l'elastico, c'è un po' di sanguinamento che può ripresentarsi dopo una decina di giorni a causa dell’ulcerazione prodotta dalla caduta dell’elastico. La ferita residua di solito guarisce in pochi giorni.
Questa tecnica ha indicazioni limitate soprattutto alla presenza di una malattia in fase iniziale a livello di uno o due gavoccioli emorroidari. Le complicanze di questa procedura sono il sanguinamento ed il dolore.
Terapia Chirurgica
Emorroidectomia
Gli interventi di emorroidectomia possono dividersi essenzialmente in 2 tecniche: aperta o di Milligan-Morgan e chiusa o di Ferguson. In entrambe le tecniche si esegue l’asportazione di cute e gavoccioli emorroidari insieme alla legatura delle arterie emorroidarie, ma mentre la tecnica chiusa prevede al termine della procedura la sutura per chiudere le ferite chirurgiche la tecnica aperta lascia delle ferite perianali aperte che guariranno in circa 3 settimane.
Prolassectomia con Stapler
(Tecnica di Longo o Tecnica PPH, Mucoprolassectomia, Anopessi con stapler )
Questa tecnica si basa sulla teoria che vede il prolasso della mucosa rettale come elemento principale nello sviluppo della malattia emorroidaria. Infatti è sempre vero, l’assioma: “ le emorroidi non prolassano attraverso l'ano se non prolassa contemporaneamente la mucosa rettale”. Pertanto l’asportazione della mucosa rettale prolassata consente al tessuto emorroidario di ritornare nella sua sede anatomica e di esplicare la sua funzione. Questa tecnica prevede quindi l’asportazione tramite una suturatrice meccanica circolare (che contemporaneamente taglia e cuce il tessuto) di un anello di tessuto mucoso con il conseguente ripristino della corretta anatomia del canale anale.
L’intervento viene inoltre praticato all’interno dell’ampolla rettale in una zona relativamente poco sensibile e questo si traduce in un ridotto dolore post-operatorio.
Questa procedura proprio per il ridotto dolore post-operatorio e la veloce ripresa può essere eseguito in centri specializzati in regime di day-surgery cioè con dimissione nella stessa giornata dell’intervento.
I punti di titanio vengono espulsi dalla mucosa nel giro di 6 mesi dall’intervento senza alcun fastidio per il paziente. Le complicanze (sanguinamento, infezione della ferita, trombosi, etc.) sono rare e comuni anche agli altri interventi chirurgici. Per quanto riguarda le recidive di malattia emorroidaria dopo mucoprolassectomia, non vi sono in letteratura scientifica studi con periodi di sorveglianza molto lunghi, ma dai risultati preliminari sembra che il rischio di recidiva di prolasso dipende più da un’iniziale incompleta escissione piuttosto che da una recidiva vera e propria, in questi casi è quindi preferibile parlare di prolasso residuo piuttosto che di recidiva. Una corretta indicazione a questo tipo di intervento tende quindi a ridurre significativamente il rischio di recidiva.
L’intervento (eseguito in oltre 1.000.000 di casi nel mondo) è oggi un intervento ben validato dal punto di vista scientifico e non rappresenta più una metodica nuova da verificare.
(Per approfondire Vedi Prolassectomia con Stapler Tecnica Chirurgica e Video)
Le ragadi anali sono ulcerazioni lineari dermoipodermiche, queste “ferite” longitudinali sono localizzate principalmente nella regione posteriore del canale anale, ma talvolta possono presentarsi nel versante anteriore. Questo perché i due versanti corrispondono ai punti di minor estensibilità ed elasticità della cute anale. Molto rare e quasi sempre legate ad un trauma (come per esempio la divaricazione anale durante una procedura chirurgica) sono le ragadi duplici che si localizzano contemporaneamente sia sul versante anteriore che in quello posteriore. Le ragadi si presentano quindi come delle lacerazioni del canale anale che si approfondano dalla mucosa fino, nei casi più gravi, ad arrivare alle fibre del muscolo sfintere anale interno.
Alla base della formazione di queste “ferite” vi è molto spesso l’eccessiva distensione del canale anale ed i trauma prodotto dal passaggio di feci di volume e consistenza aumentate come spesso accade nei soggetti stitici. Altre volte ripetute evacuazioni ed il passaggio di feci acide per la presenza di diarrea (in seguito ad infezioni intestinali, nei colitici ecc.) possono produrre un irritazione della mucosa e la successiva formazione della ragade. Più raramente è l’aumento del tono muscolare (contrazione), definito ipertono, dello sfintere anale interno porta alla formazione della ragade. L’ipertono è invece più frequentemente una conseguenza dell’irritazione delle fibre del muscolo sfintere anale interno e rappresenta il principale meccanismo di autoalimentazione della ragade e che porta alla sua cronicizzazione. La contrazione dello sfintere anale interno è infatti alla base della cronicizzazione della ragade perché sia attraverso un azione meccanica diretta che riducendo l’afflusso di sangue ai tessuti che devono rigenerarsi ne impedisce la guarigione. Inoltre la gravidanza e il parto, la sedentarietà, la malattia emorroidaria, l’eccessiva sudorazione, gli sforzi eccessivi, il trascorrere molte ore in piedi e un’alimentazione poco corretta, rappresentano fattori che possono scatenare o peggiorare la situazione.
Sintomi
La sintomatologia è caratterizzata dalla presenza di dolore urente localizzato in regione anale (più frequentemente posteriormente) che origina od aumenta di intensità dopo la defecazione e che nelle forme croniche e più gravi può durare anche diverse ore alternando periodi di maggiore intensità a periodi di parziale benessere. Al dolore frequentemente si associa la perdita di sangue soprattutto dopo la defecazione.
Terapia
Le ragadi anali nella metà dei casi guariscono spontaneamente. Nei restanti casi è bene iniziare con una terapia medica a base di pomate (alla nitroglicerina, ad azione calcio-antagonista) che svolgono un’azione rilassante a livello della muscolatura liscia (sfintere anale interno) ed attraverso norme dietetico comportamentali atte a migliorare il numero e la consistenza delle evacuazioni. Il fallimento della terapia medica e/o il conforto diagnostico di una manometria anorettale (esame che studia le pressioni del canale anale e del retto e quindi la funzionalità ed il tono dei muscoli sfinteri) possono portare alla indicazione di un trattamento chirurgico.
La terapia chirurgica è volta a ridurre il tono del muscolo sfintere anale interno. In passato l’intervento di scelta era la sfinterotomia laterale che attraverso una incisione delle fibre muscolari produceva una riduzione della forza contrattile del muscolo stesso e quindi dell’ ipertono. Per il non trascurabile rischio di ipocontinenza o peggio di incontinenza postoperatoria, oggi questo intervento andrebbe riservato a pochi casi particolari preferendo trattamenti meno invasivi. Nella nostra esperienza la dilatazione pneumatica dello sfintere anale interno mediante l’utilizzo di una specifica sonda (“palloncino”) produce gli stessi risultati terapeutici della sfinterotomia ma senza la necessità di sezionare fibre muscolari e quindi senza il rischio di ipo/incontinenza. Questa procedura, che prende il nome di Divulsione Anale Pneumatica Calibrata (DAPC), riduce a tal punto l’invasività chirurgica da poterla eseguire ambulatorialmente con una banale sedazione associata alla anestesia locale.
Le terapie alternative come l’utilizzo autonomo dei dilatatori anali ha mostrato una scarsa efficacia soprattutto per l’impossibilità di eseguire una corretta dilatazione a causa del forte dolore. Per quanto riguarda la terapia mediante iniezioni di botulino a livello dello sfintere anale interno, l’ipotesi è sicuramente valida ma mancano a tutt’oggi studi scientifici validi a supporto.
Nei casi di ragadi croniche spesso può essere necessario asportare il tessuto granulomatoso della ragade ed eseguire una Plastica con un Lembo Mucoso di Avanzamento (advancement flap).
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